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South Carolina, don’t say cat…

di Francesco Foti

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Sì, in South Carolina ha vinto Biden. Sì, ha vinto con un margine decisamente notevole, paragonabile a quello di Sanders in Nevada. Una vittoria prevista, forse non in queste proporzioni, ma data da tutti come estremamente probabile. Un po’ perché il South Carolina era da subito nel mirino dell’ex Vicepresidente, un po’ perché in quello stato Biden ha ricevuto endorsement pesanti, un po’ per il suo indiscutibile appeal presso l’elettorato afroamericano, specialmente quello più anziano e residente negli stati meridionali. 

Ovviamente i media e l’establishment democratico hanno tirato un sospiro di sollievo, e stanno già parlando di punto di svolta, remuntada e chi più ne ha più ne metta. 

 

Forse è un po’ presto. Come dicono in South Carolina, don’t say cat unless you have it in the bag. E no, it’s not in the bag, yet. Tutti già parlano di sfida a due tra Sanders e Biden, ma credo sia ancora presto per dirlo, e decisamente prestissimo per dire chi due potrebbe spuntarla. Questo per almeno tre ragioni.

 

IL SUPER TUESDAY È DIETRO L’ANGOLO

Martedì si vota già di nuovo, sarà il famigerato Super Tuesday. Il 4 marzo infatti si terranno le primarie in Alabama, Arkansas, California, Colorado, Maine, Massachusetts, Minnesota, North Carolina, Oklahoma, Tennessee, Texas, Utah, Vermont e Virginia. Solo dopo questa data il quadro nel campo democratico si farà più chiaro, perché è improbabile che tutti i candidati ancora in corsa decidano di proseguire in assenza di risultati eclatanti in questi stati. La grande vittoria di Biden e soprattutto la narrazione mediatica che stanno costruendo attorno ad essa potrà dargli una spinta importante, in questa tornata, ma potrebbe non essere così forte come molti lasciano intendere. Basti pensare che nella sola California - lo stato più grande, che vale 494 delegati - ha già votato ben oltre un milione di persone, con il sistema per corrispondenza. E lo hanno fatto senza conoscere i risultati del South Carolina, senza la notizia della grande rimonta di Biden. 

La presenza di diversi stati del sud, nel calderone di martedì 4, offre sicuramente una buona chance a Biden di accreditarsi come uno dei candidati di punta, dopo le pessime performance dei primi tre stati, ma è altrettanto vero che in Texas e in Virginia i sondaggi danno ancora Sanders in vantaggio, così come nella maggior parte degli altri, dalla già citata California al Colorado. Biden è in testa in Tennessee, in Oklahoma e in Alabama, stati importanti ma che danno meno delegati del solo Texas. 

 

I CONTENDENTI SONO ANCORA TANTI, TROPPI

È probabile che dal 5 marzo ci siano molti meno cavalli, in questa corsa per la nomination. Fino a martedì, però, restano in campo Sanders, Biden, Warren, Klobuchar, Buttigieg e Bloomberg. 

Se il fronte progressista vede in campo Sanders e Warren, il primo molto più avanti della seconda, quello moderato vede tutti gli altri candidati, al momento, in posizioni non troppo distanti tra loro, a eccezione del “jolly” Bloomberg. Il voto del Super Tuesday potrebbe quindi rivelare ancora qualche sorpresa qui e là, basti pensare che in due piccoli stati come il Minnesota e l’Arkansas sono dati in testa rispettivamente Klobuchar e Bloomberg.

A mio avviso, e sono pronto a essere smentito, il risultato più probabile è che nessuno di questi faccia un vero exploit, ma che si dividano l’elettorato più moderato in parti forse non uguali, ma non eccessivamente dissimili, nel conteggio complessivo dei delegati.

Saranno tutti pronti a convergere su Biden, se dovesse risultare l’unico in grado di contendere la nomination a Sanders? È quasi certo, ma per ora la gara è ancora aperta, tra loro, e viene da domandarsi se saranno proprio tutti pronti a chiudere bottega all’indomani del voto di martedì, specialmente chi come Bloomberg è appena entrato in corsa e vuole far pesare tutti i suoi miliardi. Tom Steyer, a rigor di logica, avrebbe dovuto ritirarsi già qualche settimana fa, eppure lo ha fatto solo dopo il South Carolina, dove peraltro ha ottenuto il suo miglior risultato, arrivando terzo.

Un dato che più che un suo successo, segna lo scarso potenziale di candidati forse troppo presto osannati come rivelazioni. Penso in particolare a Buttigieg e Klobuchar, ma anche allo stesso Bloomberg. Per lui un'altra cattiva notizia. Il facoltoso Steyer aveva speso ben venti milioni di dollari nella sola South Carolina, per la sua campagna, ma nonostante la mole enorme di denaro messa in campo, non è andato oltre il terzo posto.

Più in generale, l’ansia dei media di individuare un frontrunner moderato per il momento ha prodotto molta confusione, e questo per ora continua a favorire Sanders.

 

ELEGGIBILITÀ, LASCIATE PERDERE IL RUMORE

Si continua a parlare molto di eleggibilità, e molto a sproposito. Quotidianamente la stampa ci ricorda che questo o quel candidato potrebbe battere Trump secondo i sondaggi nazionali USA. La realtà? Quei sondaggi contano poco o nulla. Più o meno tutti i candidati dem a oggi batterebbero Trump nel voto popolare. Questo non dovrebbe sorprendere, però. Anche Hillary Clinton aveva battuto Trump, nel voto popolare, ma ha perso lo stesso le elezioni. L’Electoral College è un sistema complesso e un po’ ingrato per i democratici, da ormai decenni. Non a caso in molti, soprattutto a sinistra, chiedono la sua abolizione. Il sistema comunemente detto “dei grandi elettori” è storicamente motivato dalla necessità di equilibrio di potere tra gli stati piccoli e quelli grandi, nel nome del federalismo che è alla base del patto fondante degli Stati Uniti. 

La vera rivoluzione di Trump è stata quella di abbracciare molto serenamente la realtà che a lui non serve avere la maggioranza dei voti popolari per vincere, e combinarla con l’estrema polarizzazione in atto nella politica non solo americana, ma occidentale. Una miscela incendiaria, ma efficace.

Ne è prova il suo livello di gradimento presso l’elettorato americano, piuttosto stabilmente al di sotto del 50% sin dal primo giorno. Trump è il primo presidente a non aver avuto una “luna di miele”, un periodo in cui anche chi non lo aveva votato era pronto a dargli credito e a “lasciarlo lavorare”, ma allo stesso tempo non sembra aver deluso il suo elettorato, rimastogli abbastanza fedele, nonostante tutto. Trump è il primo vero presidente che non fa neanche un tentativo di facciata di essere una figura unitaria. È il presidente della sua base e dei suoi finanziatori, governa per loro, si rivolge unicamente a loro, tutta la sua comunicazione è basata sul rafforzare la sua presa su chi già lo ama.

Ciò nonostante, al momento è probabile che vinca nuovamente.

I democratici dovrebbero fare lo stesso, a parti inverse? Non necessariamente. Ma non possono non tener conto di questo cambiamento in atto, e sbagliano a mio avviso a considerarlo momentaneo e legato unicamente alla "anomalia" di Trump.

 

Non dimentichiamo quindi l’Electoral College, né il cambiamento segnato da Trump. Il favorito è ancora lui, in vista delle elezioni generali. Al momento è probabile che le vinca, come detto. È importante capire come si comporteranno i vari candidati negli stati più significativi per una vittoria grazie ai grandi elettori (su questo torneremo prossimamente in maniera più approfondita), è fondamentale capire quale candidato sarà in grado di mobilitare una movimento di base forte e ampio, in grado in ogni stato di contendere il campo alla base di Trump.

 

Sicuri che Biden sia l’uomo giusto? Vi lascio, per ora, con un dato su cui riflettere: meno del 6% degli americani tra i 18 e i 45 anni ha votato Biden, fino ad ora. SI tratta di una fascia di popolazione che vale tra il 33 e il 45% degli elettori democratici.

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