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Cos'è cos'è

Amazon ha sanzionato una dipendente per esser stata troppo a lungo in bagno: 20 minuti, poi pensandoci meglio diventati 15, poi 10. Infine l’azienda ha ritirato la sanzione, dopo che i sindacati hanno sollevato la questione. Precisando che non vengono cronometrati i tempi della ritirata, maliziosi noi che non siamo altro, ma che bisogna comunque chiedere il permesso a un responsabile “per ragioni di sicurezza”. È una storia già sentita, di nuovo la sentiremo.


Eccone un’altra: c’è una grande società che ha sviluppato una procedura a cui accettano di sottoporsi volontariamente i candidati che desiderano lavorarvi. Tramite l’inserimento di un microchip nel cervello, nel momento in cui si accede al posto di lavoro il lavoratore non ha più coscienza di sé stesso fuori dal lavoro medesimo. Non sa dove abita, se ha famiglia o figli, se gli piace guardare le partite o andare a ballare, giocare a calcetto con gli amici o fare puzzle. Viceversa, quando esce dall’ufficio dimentica completamente cosa stava facendo lì dentro: quale sia il suo lavoro, chi siano i suoi colleghi, se è trattato bene. Se è felice o infelice: non importa, importa che quando è dentro aderisca alla mission aziendale con tutto sé stesso, come a una fede, senza distrazioni o pensieri per il mondo là fuori. Uno smart working piuttosto letterale. Questa invece è una storia inventata, ed è lo spunto di partenza di una serie, mirabile, che sta facendo discutere, distinguendosi nel mare di contenuti che escono ogni giorno: si intitola Severance – in italiano, Scissione – e la scissione del titolo è appunto la procedura descritta. Che ovviamente causa qualche problema imprevisto, nei dipendenti che si ritrovano “scissi” tra due personalità che non sanno nulla l’una dell’altra.


Ora, un aspetto interessante di un’idea del genere – ironicamente, la serie è prodotta da Apple, che notoriamente come compagnia un po’ zelota lo è davvero – è che può suscitare reazioni diverse: la maggior parte delle persone, presumibilmente, la troverà inquietante. E lo è, a scanso di equivoci, o dovrebbe esserlo, per il suo bene, anche per chi pensa che dopotutto non avere contezza di cosa accade durante un terzo buono della propria giornata potrebbe essere un sollievo. Ma qualcun altro penserà che sia geniale. Ci sarà sicuramente qualcuno, da qualche parte nel mondo, che gestisce un’impresa e che penserà “Magari! Magari potessi fare legalmente il lavaggio del cervello ai miei dipendenti in modo tale che quando sono in ufficio o alla catena di montaggio pensino solo al lavoro!”.

Potrebbe essere un qualche gigante delle Big Tech, che forse ci sta già investendo. O anche un banalissimo, sovrappeso e poco instagrammabile cumènda di provincia che produce tubi zincati, che non saprebbe assolutamente da che parte cominciare, ma di certo l’idea non gli dispiacerebbe. Del resto, stiamo già scivolando verso la post-umanità, anche e soprattutto sul posto di lavoro: non solo e non tanto per la sempre annunciata e prima o poi inevitabile completa automazione – non è detto che a conti fatti i robot costino meno dei dipendenti, si vedrà – ma perché già oggi operano aziende che in settori-pilota usano sistemi di controllo della forza-lavoro che sono stati progettati da umani, ma umani non lo sono più. I famosi algoritmi, come sanno bene i rider che pedalano entro tempistiche ben precise per consegnare il sushi nelle nostre città. Tutto per il bene dell’umanità, ovviamente, o per meglio dire per l’idea di bene supremo che a volte chi è molto potente coltiva, immaginando un modello ideale universale, perfetto, di meccanismi oliati, e pazienza se mentre girano laboriosamente non sono molto contenti: l’importante è che producano. Per chi l’ha ideato, più che altro.


Il futuro è già qui, e se non stiamo attenti non sarà un bel posto in cui vivere. Anche perché intanto si fa fatica a far passare misure di banale giustizia sociale come il salario minimo – ne sa qualcosa Possibile che sta raccogliendo le firme per una legge che lo introduca –, banale nel senso che l’idea di non poter pagare qualcuno, per fare un lavoro, meno di una certa cifra, insomma: cosa dovrebbe esserci da discutere? Eppure. I giornali continuano a dar voce a imprenditori che si lagnano del reddito di cittadinanza, per il semplice non detto motivo che vorrebbero dipendenti privi di questa assurda pretesa di venir pagati. Siamo su una corda tesa, da una parte ci siamo noi che tiriamo per difendere i nostri diritti, e per guadagnare quelli che ci spettano, e dall’altra ci sono quegli altri, quelli che sognano l’azienda perfetta che hanno lungamente progettato, in cui tutti stanno al loro posto, con la testa chinata, e non si lamentano. Tira e tira nel corso dei millenni siamo passati dalla schiavitù al vassallaggio, poi alla servitù, e via via un faticoso millimetro alla volta siamo arrivati fin qui. Quegli altri hanno mezzi per resistere all’infinito, quindi non bisogna mollare, mai, anzi bisogna tirare più forte.


Anche perché, come diceva quella vecchia canzone resa celebre da Milva, “Cos'è, cos'è, che fa andare la filanda?”. Beh, è chiara la faccenda, son quelli come noi. Buona Festa del Lavoro!

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