In mezzo scorre il fiume
- paolocosseddu
- 28 mag 2022
- Tempo di lettura: 3 min
I giornali che si occupano di gossip politico scrivono da qualche settimana che il rapporto tra Letta e Conte si è un po’ raffreddato. Con grande dispiacere di Bersani, la cui principale attività ultimamente sembra essere diventata quella di andare in tivù a difendere il M5S e il suo leader “fortissimo punto di riferimento dei progressisti” (cit.). Quando ancora era uso chiamarli grillini, erano quegli stessi che l’avevano umiliato in una diretta passata (relativamente) alla storia, ma come è noto non si fa politica col rancore.
Comunque, se l’architrave delle forze progressiste pare essere un po’ in crisi, quella del centrodestra non se la passa meglio: Giorgia Meloni non si sente abbastanza apprezzata, e in questo caso il dispiaciuto è Berlusconi. Nei giorni scorsi è stato a Napoli, se ne è parlato per via del fatto che alla convention di Forza Italia c’era Ridge di Beautiful, per una specie di discorso parecchio ambiguo su Putin, e per le foto posate: Berlusconi sorridente mentre mostra una pizza margherita, poi una pastiera, e così via. Riassumendo: Ridge, Putin, pizza: e il programma di governo è fatto.
Ma, tornando al rancore, a quanto pare anche quello tra Conte e Salvini è svanito. Se lo sono messo via in nome di un nuovo punto di contatto: il pacifismo. Perché se uno pensa a Matteo Salvini è quella, la prima cosa che gli viene in mente: il pacifismo. Anche perché i militari, al massimo, servono a respingere i migranti. In questa versione molto aperta del gioco delle coppie, con Salvini e Conte scopertisi pacifisti (nel senso che hanno fatto pace, forse) Enrico Letta, rimasto solo, si è guardato attorno e ha iniziato a parlarsi con l’unica anima rimasta, Giorgia Meloni: in questo caso in comune non c’è il pacifismo, ma l’atlantismo. Perché se uno pensa a Giorgia Meloni è quella, la prima cosa che gli viene in mente: l’atlantismo (scusate la parafrasi ripetitiva).
Tra un anno si vota per le politiche, e sulla carta un centrodestra unito sembra piuttosto favorito. Certo, oggi appare diviso, ma a dire il vero diviso lo è stato sempre, sin dai tempi in cui con Berlusconi c’erano Bossi e Fini, e in genere un modo per sopportarsi in nome della governabilità – del bene del Paese! – lo trovano sempre. Ma è bello sognare, no? È bello immaginare che invece no, alla fine si consumi una scomposizione totale e che alla fine servano nuove larghe intese, e siccome tutte le altre combinazioni già si sono provate resta solo, appunto, quella del Pd con Fratelli d’Italia. Del resto il Pd governa quasi ininterrottamente da che è stato fondato e – qui sta il bello – a prescindere dal risultato elettorale: il rapporto tra governi con dentro il Pd ed elezioni effettivamente vinte dal Pd è tanti a zero, governare “a prescindere” con chiunque è la vera e a questo punto unica costante dei Dem, molto più delle sue posizioni al contrario piuttosto altalenanti. In parte questo record arriva per gentile concessione dell’incapacità altrui – si veda, limitatamente a questa legislatura, il suicidio del governo gialloverde – e un po’ va preparato, va creato un certo clima. È una versione del fiume di Confucio in cui ci si siede sulla riva del fiume e si aspetta: e se invece di arrivare cadavere il nemico si presenta in motoscafo pazienza, si salta a bordo.
Nell’attesa, ci si racconta che verrà cambiata la legge elettorale attuale in una proporzionale, che ognuno di conseguenza correrà da solo, e che le maggioranze si faranno poi in aula: e non ci sarebbe niente di male se non se ne avessero in mente alcune un tantinello forzate, ma nel caso si invocherà il bene superiore. Peraltro è esattamente quel che già c’è, ed è questo il bello. Si metteranno via tutte le promesse elettorali perché suvvia, mica si possono fare ius soli, diritti civili e transizione ecologica con le destre. Che poi la legge elettorale cambi davvero è tutto da vedere, anzi pare improbabile, ma l’importante è costruire il contesto, meglio se con una spruzzata di spirito del tempo corrente, per esempio teorizzare che la guerra cambia tutto, e che il prossimo discrimine tra forze politiche sarà tra chi è limpidamente atlantista e chi non lo è, appunto. Perché è così che stanno le cose, no? Provate a farvi un giro al supermercato, e anche voi scoprirete che la gente non è preoccupata perché non può più permettersi di comprare un pacco di maccheroni, o perché il figlio fatica a trovare un lavoro pagato decentemente, o perché si è dovuto chiedere un fido in banca per pagare il riscaldamento, no: son tutti preoccupati dall’atlantismo. Ma non importa che sia vero, l’importante è dirlo, mettere le mani avanti, dare vita alla profezia autoavverante. E se poi non si avvera, al limite c’è sempre la sponda del fiume su cui sedersi e aspettare. Nemmeno così a lungo, di solito. Questa, credeteci o no, la chiamano “politica”.

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