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Migranti come pacchi, nasce Migrazon

di Ilaria Bonaccorsi


«Sto correndo all’aeroporto. Scusami, non riesco. Sto perdendo l’aereo. Se lo perdo, però, ci riusciamo. Scusami davvero». Si scusa di continuo Giorgia Linardi, referente per l’Italia e portavoce della Ong Sea-Watch. La inseguo per quasi due settimane. Due settimane di fuoco per lei e per la Sea-Watch. Due settimane di fuoco per me, tra il Nuovo Patto sulla migrazione annunciato dalla Commissione europea che grida al superamento di Dublino e la riforma dei Decreti sicurezza (Salvini) qui da noi. Alla fine ci riusciamo, una domenica mattina alle 9.30 con in mano una tazza di caffè, finalmente la ascolto e le chiedo tutto quello che mi sembra davvero poco chiaro.

È stato presentato il New Pact on Migration. Il lavoro della Commissione europea presieduta da Ursula Von der Leyen che si propone di superare il famigerato Regolamento di Dublino. La Von der Leyen ha dichiarato: «Il principio alla base della riforma è il ribilanciamento tra responsabilità e solidarietà, la condivisione degli oneri su tutta la catena migratoria. Una risposta completa ai flussi...». Mi dici la tua?

Ovviamente quello su cui noi, come Ong, abbiamo concentrato l’attenzione sono le novità rispetto al soccorso in mare che è anche l’apertura del Patto. Infatti il Patto è stato annunciato dalla Commissaria con la citazione in cui si diceva che «il soccorso in mare non è un’opzione». In realtà poi questo è un inganno, perché di fatto se lo leggi per intero non c’è nulla e non viene introdotto nulla di nuovo rispetto al soccorso in mare.

Però è vero che è stato precisato che il soccorso in mare è sempre legittimo...

Mah... in realtà c’è un breve paragrafo dedicato al soccorso in mare, il 4.3, dove di fatto non si dice nulla se non di insistere sulle operazioni di Frontex, che nella realtà spesso vanno a facilitare i respingimenti in Libia; e viene fatto riferimento a un documento che è stato prodotto in allegato al Patto e che contiene delle raccomandazioni agli Stati membri rivolte alle navi private che fanno soccorso in mare, le Ong appunto. In queste raccomandazioni si sottoscrive, a livello europeo, la strategia italiana attuata di recente delle ispezioni alle navi, per cui si richiedono degli standard di sicurezza molto elevati, delle certificazioni di un certo tipo, perché le nostre navi possano operare. Una strategia che fino ad oggi ha comportato il blocco di 6 navi umanitarie, toccando praticamente tutte le Ong. Si dice che il diritto internazionale va rispettato e che quindi il soccorso in mare è fondamentale, ma se così fosse si darebbe la priorità a questo tipo di soccorso a livello europeo, non solo dentro le acque territoriali. E invece non viene fatto, si fa riferimento solo all’attività di avvistamento aereo da parte di Frontex e per quanto riguarda le Ong si fa riferimento a questo documento contenente le raccomandazioni che però non contengono delle garanzie. È sicuramente positivo che si faccia riferimento più volte alla necessità di cooperazione tra gli Stati, come peraltro prevede la convezione di Amburgo, e noi ci aspettiamo che il tutto venga rispettato perché quello che abbiamo visto sino ad ora, soprattutto nei rapporti tra Malta e Italia, è un rimpallo di responsabilità che fa sì che le persone rimangano in mare, e questo quando non accadono invece delle gravissime violazioni, spesso di parte maltese, che continuano a rimanere impunite. Un altro elemento positivo è che si dica che non devono esserci ritardi nell’assegnazione del porto. Vediamo se queste raccomandazioni verranno messe in atto e in che modo. Questi sono i due riferimenti che accogliamo positivamente a prescindere dall’attività delle Ong, per le quali invece viene sottoscritta la strategia italiana delle ispezioni e di alti standard di sicurezza che nemmeno lo Stato di bandiera prevede e che comporteranno un lungo iter burocratico. Faccio il nostro esempio: noi siamo – Sea-Watch – in un’impasse perché l’Italia richiede al nostro stato di bandiera, la Germania, che la nave venga certificata in un certo modo ma questo tipo di certificazione in Germania non è prevista, non esiste.

La novità più “significativa”, scrivono i quotidiani, è quella che prevede (per aiutare Italia e Grecia) “un meccanismo di solidarietà automaticoper le persone salvate in mare, tarato su quote in base a Pil e popolazione. «Non ci saranno più soluzioni ad hoc per ogni sbarco», ha spiegato il vicepresidente Schinas, questo meccanismo di solidarietà diventa “obbligatorio”. Ma il mio dubbio rimane lo stesso: la solidarietà può diventare un meccanismo obbligatorio? O viceversa, un meccanismo obbligatorio può diventare solidarietà?

È chiaro che legare il concetto di meccanismo obbligatorio perché gli Stati membri rispettino il principio di solidarietà (che peraltro è previsto nei Trattati europei e che prevede la condivisione nella responsabilità del controllo delle frontiere, dell’asilo e dell’immigrazione...) a un concetto di obbligatorietà stride. È un fatto però che non ci siano alternative, nel senso che abbiamo visto come la solidarietà automatica legata al semplice rispetto dei Trattati da parte degli stati membri non funziona e quindi insomma a mali estremi, estremi rimedi: se la solidarietà non arriva spontaneamente, ci arrivi in maniera obbligatoria. E questo è quello che l’Italia ha chiesto nella modifica di Dublino ma non non ha ottenuto: l’Italia aveva chiesto un meccanismo automatico e obbligatorio di redistribuzione che nel Patto non c’è. Non c’è perché nei negoziati che hanno prodotto la versione che ora passa in Consiglio evidentemente non è stato accettato.


E quindi cosa accade in verità?

Che si resta in una situazione in cui la redistribuzione delle persone non è automatica e non è obbligatoria ma viene previsto un nuovo sistema di “rimpatrio sponsorizzato”, per cui se io Stato non ho voglia di farmi carico delle persone soccorse, ho la possibilità di finanziarti il loro rimpatrio, comunque lasciandole sul tuo territorio.


Questa sarebbe la storia della “sponsorship”?

Esatto, le persone vengono trattate come pacchi postali. Ho coniato il termine “Migrazon”, da Amazon. Con questo nuovo Patto si inaugura il sistema Migrazon, mentre quello che l’Italia chiedeva non c’è e Dublino, a mio avviso, non è stato superato perché il principio della responsabilità del Paese di primo arrivo resta e la redistribuzione rimane un fatto volontario legato alla volontà politica del singolo Stato membro.


C’è però la costruzione di un ricatto economico, giusto?

Sì, se non aiuti paghi. Però a me viene da dire che, per diversi Paesi, non sarà un grande problema rimborsare in caso di mancato aiuto. Questa peraltro era una sanzione già prevista dalla Commissione europea che non era passata e che prevedeva delle sanzioni per gli Stati che non accettassero di redistribuire. Adesso questa sanzione si tramuta nella pratica del rimpatrio, non è più una sanzione ma un impegno da mantenere.


C’è anche una punizione finale per lo Stato membro che se, dopo 8-12 mesi, non ha “sponsorizzatoil rimpatrio dei migranti economici irregolari, deve forzatamente accoglierli “in casa sua”. Quindi, o si “pagano i rimpatrio si viene puniti con l’obbligo d’accoglienza?

Già, e comunque si parla di tempi sempre biblici. Quello che vediamo, al solito, è che ci si concentra molto sui rimpatri, perché è vero che c’è una situazione preoccupante di irregolarità (molta parte delle persone che arrivano non vengono incanalate in nessun tipo di protezione e quindi diventano dei fantasmi, degli irregolari) e allora diventa necessario rimpatriare tutti il prima possibile... E questo è, diciamo, il focus del Patto, che neanche questa volta si concentra sulla creazione di alternative legali sicure, perché, pur parlando di cooperazione con i Paesi di origine e di transito (Paesi terzi), la finalizza ai soli rimpatri e non alla creazione di alternative che possano andare a rompere il ciclo della tratta all’origine.


C’è però nel Patto un accenno alla creazione di corridoi per la migrazione legale, mentre per tutti gli altri si prevedono delle border procedures... io non ho mai capito la differenza tra morire di fame e morire di guerra, puoi spiegarmelo tu?


Non lo so. Sicuramente quello che emerge è come venga riaffermato il principio dell’attribuzione della protezione su base strettamente nazionale. Quello che spiace è che non venga considerato esplicitamente il tema delle vulnerabilità, cioè di come determinate situazioni, che si verificano, anche dopo aver lasciato il proprio Paese, possano determinare la necessità di protezione. In questo momento la possibilità di usufruire di un corridoio resta molto legata al Paese di origine, alla nazionalità. Si tende a scoraggiare la migrazione economica, per cui chi se ne va per cercare migliori opportunità di vita non ha diritto a farlo.


Finalmente si sono affrontati anche i nostri Decreti Salvini, c’è chi festeggia la loro cancellazione. Tu che impressione ti sei fatta?

Ovviamente noi ci aspettavamo che questi decreti venissero cancellati e che questa legislazione fosse rivista su basi completamente diverse. Non è accaduto e quello che possiamo dire, per quello che riguar

da in particolare l’azione delle Ong, è che il rischio sanzionatorio rimane, nel senso che il rischio di multa rimane, viene solo abbassato il tetto massimo a 50mila euro, che è la prima soglia di multa prevista da Salvini. Quindi, resta la possibilità di essere multati per aver salvato vite umane; e il secondo elemento è che queste multe passano dal piano penale a quello amministrativo, dando così la garanzia del giudice, della magistratura. Cioè, se prima, per esempio, venivi multato e poi eventualmente potevi fare ricorso, adesso la multa ti viene conferita nel momento in cui c’è stato un processo che prevede l’analisi di un giudice che alla fine dice «bene, sei colpevole!» e ti condanna al pagamento di una multa. Questo, da una parte, aggiunge la garanzia della magistratura ma dall’altra parte non tocca il rischio sanzionatorio. E questo è sbagliato perché evidentemente rimane il pregiudizio rispetto all’operato delle Ong. L’ultimo elemento degno di nota è il fatto che la nuova proposta tenga presente le raccomandazioni del Presidente della Repubblica, che aveva chiesto che venisse rispettata la gerarchia delle fonti, dal diritto internazionale fino alla nostra Costituzione, e aveva fatto emergere come ci fossero dei profili di incostituzionalità nei decreti Salvini, perché di fatto andavano a ledere il dovere di rispettare l’obbligo di soccorso in mare. In questa revisione dei decreti viene in effetti inserito il riferimento alla necessità di rispettare il diritto internazionale sul soccorso in mare... Peccato che poi il periodo continui facendo riferimento al rispetto delle indicazioni del “competente Centro di coordinamento dei soccorsi in mare”. Quindi nessun attore verrà sanzionato se rispetterà il diritto internazionale, se informerà il competente Centro di coordinamento dopo il soccorso e ne seguirà le indicazioni. Ora qui non mi è chiaro, e non vorrei saltare a conclusioni, ma così letto mi viene il dubbio: se l’Italia negli ultimi anni ha ritenuto che la Libia fosse il competente Centro di coordinamento... Come la mettiamo adesso? Cioè, tu Europa da una parte mi chiedi il rispetto del diritto internazionale e dall’altra mi chiedi di coordinarmi con un Centro di coordinamento che è la Libia. La nostra esperienza ci dice che ogni volta che facciamo un soccorso e chiediamo un porto all’Italia e a Malta... Non ci viene data risposta per giorni e giorni o ci viene detto di coordinarci con i libici. E di queste risposte noi abbiamo evidenza documentaria, quindi la domanda è: l’Italia intende cambiare il proprio approccio? Oppure nei decreti sicurezza si sta dicendo che se tu informi i libici e ti fai coordinare dai libici, bene, altrimenti il rischio sanzionatorio c’è comunque? Questo sapendo benissimo, perché l’Italia lo sa benissimo, che noi mai e poi mai faremo sbarcare le persone in Libia.


Ti ho sentita parlare del “gesto istintivo del braccio”, «se non lo hai», hai aggiunto in un’intervista televisiva con Daria Bignardi, «non sei un essere umano» e della necessità di costruire una “felicità diversache escluda ogni forma di violenza tra gli essere umani. Immagini si possa tornare ad un’idea di non violenza originaria dell’uomo?

Mah, io non credo che l’essere umano sia naturalmente non violento. Anzi, penso che pochi altri animali abbiano il senso della prevaricazione e dominazione che abbiamo noi. Credo però che sia importante soffermarsi sulla semplicità di alcuni gesti e di alcuni principi. Cioè, fa male vedere una società che mette in discussione il fatto che delle persone in mare debbano esser salvate, fa molto male. Fa molto male vedere che il governo dell’Unione europea fallisce nel garantire il rispetto dei propri principi fondanti. È veramente avvilente vedere la determinazione con cui ci si ostina a non proteggere le persone che ne hanno bisogno... È molto, molto preoccupante.


Però se rimaniamo con l’idea di fondo di Migrazon, di persone come pacchi o peggio pezzi, se il linguaggio rimane quello che parla di: meccanismo, sponsor, irregolari, obbligo, quote, frontiere, oneri, catena, anche solo culturalmente dove vuoi che andiamo a finire?

Sì certo, non andiamo da nessuna parte. Anzi, è molto difficile tornare indietro se la migrazione viene raccontata e trattata in questa maniera per anni e anni, governo dopo governo, a prescindere dagli orientamenti.

Purtroppo sì, siamo in una situazione preoccupante perché stiamo educando le generazioni più giovani a non abituarsi alla diversità, anche quella reale per cui occorre partecipare per costruire integrazione con chi arriva e non è inserito come noi che qui siamo nati. A livello culturale e di pratiche bisognerebbe costruire invece un diverso sentire, una abitudine al diverso in un’ottica di integrazione... Ma questo non sta avvenendo ed è un problema grande, perché è l’unico elemento che potrebbe rendere alcuni processi meno meccanici e molto più naturali e quindi potenzialmente costruire un tipo di società diversa. Una società dove i meccanismi di accoglienza e integrazione non fanno così paura. Perché anche a me, che mi occupo di salvataggio in mare, comunque il tema della migrazione, dell’integrazione delle persone sul territorio mette ansia, sento che non siamo pronti. E la predisposizione, l’essere pronti è prima di tutto una condizione culturale che ci porta a capire che queste persone continueranno ad arrivare, ad esserci. E io continuo e non posso che disperarmi perché non riusciamo ad avere un approccio costruttivo a tutto questo.


Ti ho sentito dire che la battaglia è conoscenza vs paura. Conoscere permette di reagire.«La Libia va evacuata» hai detto una volta. «Ci sono realtà inaccettabili. Che non possono essere accettate. La protezione delle persone è un dovere». Da dove ripartiresti? Come la costruiamo questa conoscenza/reazione? Facciamo salire tutti a bordo?

Sea-Watch nasce proprio così. Dall’idea di quattro amici che hanno detto: «Bene, andiamo a vedere cosa accade nel Mediterraneo. Andiamo a vedere con i nostri occhi quello accade». E l’idea era proprio quella di aprire alle persone comuni, di permettere alla società civile di sapere cosa stava accadendo nel Mediterraneo e poi di scegliere se dare una mano. Nel tempo ci siamo professionalizzati sempre di più per poter garantire il soccorso delle persone nella maniera più dignitosa possibile. Ma al momento stiamo perdendo... È chiaro, abbiamo tutti contro. Abbiamo iniziato cinque anni fa e la situazione è solo peggiorata. Cinque anni fa facevamo i soccorsi in accordo con la Guardia costiera italiana, c’era un atteggiamento da parte del governo migliore, poi la stessa maggioranza ha firmato gli accordi con la Libia. E oggi sicuramente la situazione è ancora peggiore. Però, perché uno continua? Proprio perché ha visto. Ha visto delle cose che non si possono accettare, né si possono ignorare. Penso che stiamo facendo troppi passi pericolosi rispetto all’ordine costituito dopo la Seconda guerra mondiale, quando ci si fermò e si disse: «ma che cavolo abbiamo fatto... Mettiamoci all’interno di un sistema che garantisca tutti i diritti» e da lì nacque il costrutto delle Nazioni Unite, del diritto internazionale, i Trattati per la tutela dei diritti umani, proprio per rendere un “obbligo” il rispetto, da parte degli Stati, di alcuni principi fondanti. Mentre oggi questi principi vengono costantemente scavalcati. Stiamo assistendo al superamento pericoloso di un sistema costruito ad arte per evitare la possibilità di tornare a certe bruttezze. Forse come dici tu anche utilizzando obblighi e meccanismi ma ahimé funziona ancora così, e lo abbiamo visto ogni volta che le persone sono state lasciate in mare per giorni e giorni e poi ammassate a terra senza che nessuno si interessasse a loro, alla loro storia, da dove provenissero, cosa avessero vissuto. Abbiamo assistito al sistematico scavalcamento, che avviene ogni volta con una facilità sbalorditiva, di questi principi perché ad oggi la pratica degli Stati vale più del diritto internazionale. Noi, ovviamente, continuiamo a credere nella giustizia e a fare riferimento al diritto internazionale ma la verità è che poi uno Stato può permettersi di fare quello che vuole perché non gli succede nulla. E poi sono tutti contenti di annunciare che hanno abbassato la multa a 50mila euro per le Ong, e io penso che sia vergognoso. Credo che ci voglia veramente del coraggio a proporre una roba del genere. Io davvero non capisco con che coraggio si possano fare determinate proposte, non capisco con che coraggio si possa aprire il Patto sulla migrazione con delle dichiarazioni sul soccorso in mare e poi fare altro. Questo vuol dire prendere in giro l’opinione pubblica che non leggerà mai tutto il Patto, non ne coglierà le sfumature, solo per dare l’impressione di stare facendo qualcosa che in realtà non si sta facendo. Anzi, nel frattempo si continuano a bloccare le navi umanitarie, ci hanno bloccato persino l’aereo, perché a questo punto penso che non vogliano neanche che si veda quello che succede in mare. Tant’è che nella settimana in cui sono stati pubblicati il Patto e il decreto immigrazione sono morte 200 persone annegate nel Mediterraneo e noi siamo riusciti a ricostruire i fatti solo grazie all’Alarmphone che è in diretto contatto con le famiglie. Ma evidentemente adesso anche gli avvistamenti aerei danno fastidio, già da quest’estate quando avvistavano migliaia di persone in difficoltà e facevano pressione sull’Europa perché queste persone fossero soccorse. Si vuole creare proprio un cono d’ombra che può permettere di prendere in giro le persone.


Un anno fa, a proposito dell’Europa, ti ho sentito dire «La speranza è l’ultima a morire!». Nel frattempo è morta?

Mah, sai, la speranza è come una fenice, muore e resuscita in continuazione. A me muore tutti i giorni e poi rinasce perché... Per forza! Non c’è alternativa. Se ci fosse un altro mondo dove andare a stare potremmo dire «sai che c’è, saluti!» e anche questo è interessante: migreremmo altrove nella speranza di non essere trattati come dei pacchi postali nel nuovo mondo. Ma un altro mondo non c’è, e quindi bisogna continuare a cercare di portare avanti tutto quello per cui lottiamo.









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